No ReArm Europe

Compagne e compagni, l’Europa, la nostra Europa, si sta trasformando. Non in un faro di pace e cooperazione, come molti di noi hanno sognato e per cui abbiamo lottato, e promessa fondante dell’Europa, ma in una fortezza armata, un bastione che, con pretesti di difesa (da chi?!) e sicurezza (quali rischi?!), si prepara a una deriva che rischia di inghiottire le speranze di un intero continente. Non è la paura a guidare queste parole, ma la lucida consapevolezza di un pericolo imminente, di una scelta scellerata che le classi dominanti stanno imponendo ai nostri popoli.

La spesa militare: Un pozzo senza fondo che affama i popoli
Ci parlano di percentuali, di impegni NATO, di un aumento inevitabile della spesa militare. Il 2%, il 3%, forse il 5% del PIL destinato agli armamenti. Ma chi pagherà il conto di questa follia? Non certo i banchieri, né i grandi industriali della guerra, che già si sfregano le mani al pensiero dei profitti inimmaginabili. No, a pagare sarà il lavoro, saranno le famiglie, saranno i giovani e i pensionati. Ogni euro che finisce nei bilanci delle fabbriche di morte è un euro sottratto alla sanità pubblica, già agonizzante dopo anni di tagli. È un euro che non andrà all’istruzione e alla ricerca che dovrebbero servire al progresso civile, e non essere asservite alla borghesia per la distruzione. È un euro in meno per le case popolari, per la messa in sicurezza del territorio di fronte a un cambiamento climatico che ci sta già presentando il conto. Ci dicono che l’industria militare crea posti di lavoro, altro non è questa che una menzogna sfacciata. L’industria della guerra è sempre più automatizzata, tecnologica, avida di capitale e avara di forza lavoro. I pochi posti che crea sono gocce nel mare di un’economia che, per essere sana, dovrebbe investire in settori vitali, produttivi, che generano benessere diffuso, non solo per pochi privilegiati. Nella nostra Europa vogliamo fabbriche che producano ambulanze, vogliamo scuole all’avanguardia. Non vogliamo fabbriche che vadano contro ogni morale civile.

NATO: Il braccio armato di un imperialismo decadente
Non possiamo nasconderci dietro l’illusione di una difesa comune europea, separata dagli interessi egemonici. La verità è chiara: dietro questa corsa al riarmo c’è la longa manus della NATO e, dietro quest’ultima, gli interessi di una potenza che cerca di mantenere a tutti i costi un predominio globale ormai traballante. Il nostro Paese, l’Italia, è da troppo tempo un avamposto di questa strategia, un trampolino di lancio per avventure militari che non ci appartengono. Cento basi militari, un allineamento supino alle direttive di Washington. Cento basi al di sopra della sovranità e a braccetto con la sudditanza. Il vertice all’Aja, con le sue decisioni sulla spesa militare, non è altro che l’ennesima tappa di un processo che ci vuole complici di una guerra a pezzi: dal genocidio a Gaza, al conflitto in Ucraina, alle tensioni crescenti ovunque. Questa guerra, così frammentari, non è frutto del caso ma della logica inesorabile di un sistema capitalistico che, di fronte alla sua crisi strutturale, cerca nella militarizzazione e nello scontro la sua unica via d’uscita.

Autoritarismo e repressione: Il vero volto del ReArm
Non è solo una questione economica o geopolitica. Il riarmo, la cultura della guerra, portano con sé un inasprimento autoritario all’interno delle nostre stesse società. In un clima di emergenza permanente, chi si oppone alla logica bellicista viene facilmente etichettato come nemico interno, compromettendo la libertà di espressione e reprimendo il dissenso. Lo vediamo con le leggi sulla sicurezza (DL Sicurezza), con il tentativo di criminalizzare chi salva vite umane in mare, con la volontà di mettere a tacere ogni voce critica. Il concetto di “giardino europeo” da difendere dalle insidie della giungla circostante è la base su cui prospera il razzismo, l’intolleranza, l’estrema destra. È una narrativa che alimenta la paura e divide i popoli, facendoci distogliere lo sguardo dalle vere cause dei problemi.

È tempo di scegliere: Pace o barbarie?
Compagni e compagne, siamo ad un bivio. E l’unica strada da imboccare per un futuro sostenibile e non fatto di morte, è quella di gridare con forza: no alla NATO, no all’aumento della spesa militare, no alla trasformazione dell’Europa in una fortezza armata. Dobbiamo pretendere che i nostri governi investano nella diplomazia, nei negoziati, nel coinvolgimento dell’ONU che oggi viene sistematicamente ignorato o delegittimato. Per dovere morale, e non solo politico, dobbiamo disarmare le narrazioni tossiche che ci vengono propinate quotidianamente, quelle che cercano di instillare la paura e di farci accettare l’inaccettabile, altrimenti ci ritroveremo alla deriva e saremo colpevoli tanto quanto loro. Dobbiamo svuotare gli arsenali e riempire i granai, come diceva un grande uomo della nostra Repubblica, il Presidente Pertini. Le sue parole, oggi più che mai, risuonano come un monito e come una guida. Siamo chiamati a scegliere da che parte stare: dalla parte della pace, della giustizia sociale, della solidarietà tra i popoli, oppure, dalla parte della guerra, del profitto di pochi, della barbarie?
Non è troppo tardi per agire. Questo è il momento.

Promesse tradite e ingiustizie sociali: Il vero volto del Governo Meloni.

Compagn* e cittadin* è con un senso di profonda delusione e indignazione che mi trovo oggi a fare un bilancio dell’operato del Governo Meloni. Le promesse fatte durante la campagna elettorale si sono rivelate parole vuote, mentre le azioni intraprese hanno solo aggravato le disuguaglianze e le ingiustizie sociali nel nostro Paese. È dovere di tutti, per non dire un obbligo morale, denunciare queste mancanze e chiedere un cambiamento radicale per il bene dell’Italia. Questo articolo non avrà alcun peso politico, ma sicuramente avrà un peso morale, almeno per il sottoscritto. Cercherò di stilare alcuni punti e di correlare loro alcune piccole riflessioni personali, che spero condividiate.

Il crollo vertiginoso della produzione industriale
Da 24 mesi consecutivi la produzione industriale del nostro Paese subisce un crollo inesorabile. Non si tratta di un imprevisto, né di una contingenza sfavorevole: è il risultato diretto di scelte politiche che hanno tradito il bene comune in nome di un’ideologia di mercato che protegge i privilegi e sacrifica il lavoro, caratteristica principale del capitalismo liberale. Il Governo proclama di voler sostenere le imprese, ma ignora che senza una politica industriale lungimirante, senza investimenti pubblici, senza la difesa del lavoro produttivo, l’impresa stessa è destinata al declino. Questo disastro non è solo economico: è sociale e morale. Ogni fabbrica che chiude, ogni linea produttiva che si spegne, rappresenta un colpo al cuore della Repubblica fondata sul lavoro. Queste politiche aggravano le disuguaglianze, lasciano indietro i ceti popolari e minacciano la coesione nazionale. Occorre un cambio di rotta profondo, che rimetta al centro la dignità del lavoro, la solidarietà sociale e la programmazione democratica dell’economia.

Aumento minimo per le pensioni minime
Le pensioni minime dovevano essere una priorità del Governo. Un aumento minimo c’è stato, molto minimo: soli 1,80 euro al mese, una miseria che non riesce a garantire una vita dignitosa agli anziani e suona più come una presa in giro. Non è un aiuto, non è una misura di giustizia: è una cifra offensiva, che nega la dignità. Si tratta di un atto grave non solo per ciò che manca nelle tasche degli anziani, ma per ciò che rivela dell’indirizzo morale di chi governa. È il segno di una politica insensibile, incapace di cogliere il senso profondo della solidarietà tra generazioni e del dovere che la Repubblica ha verso i più deboli.

Giovani fuggiaschi
La maggioranza ha avuto la presunzione di affermare di aver adottato un approccio ampio per dare risposte ai giovani. La cruda realtà ci dice che nel 2024 sono 191.000 i giovani italiani che hanno scelto di emigrare all’estero in cerca di migliori opportunità. Questo fenomeno è la prova tangibile dell’inadeguatezza del governo di offrire prospettive concrete ai giovani, spingendoli a cercare fortuna altrove e privando l’Italia del loro potenziale futuro. È un fallimento che graverà sulle prossime generazioni e che dimostra l’incapacità di questo governo di costruire un futuro per i nostri giovani.

La beffa della tassazione degli extraprofitti delle banche
Durante la campagna elettorale, la Premier Giorgia Meloni aveva promesso solennemente di tassare gli extraprofitti delle banche al 40%, una misura che avrebbe dovuto portare un significativo gettito fiscale nelle casse dello Stato. Ebbene, compagn*, la realtà è ben diversa: ad oggi lo Stato non ha recuperato neppure un euro con la cosiddetta “Tassa Meloni”. Questa mancata tassazione non solo ha privato il bilancio pubblico di risorse preziose, ma ha anche dimostrato l’incapacità di questo Governo di mantenere le promesse fatte, tradendo la fiducia dei cittadini e aggravando le disuguaglianze economiche.

L’affronto dell’aumento degli stipendi dei ministri
Il partito Fratelli d’Italia ha avuto l’ardire di sostenere che fosse giusto aumentare gli stipendi dei ministri, mentre milioni di italiani lottano per riuscire nell’intento di arrivare a fine mese. L’aumento di circa 2.000 euro al mese è stato approvato in un contesto di povertà crescente e difficoltà economiche. Questa decisione è un vero e proprio affronto alla dignità dei lavoratori e delle loro famiglie, soprattutto se si considera che il governo ha osteggiato l’introduzione di un salario minimo. L’aumento degli stipendi dei ministri è una dimostrazione di insensibilità e distacco dalla realtà quotidiana dei cittadini.

Il fallimento clamoroso nella Sanità Pubblica
Un’altra promessa significativa riguardava l’abbattimento delle liste di attesa nella Sanità Pubblica. Il Governo aveva assicurato che sarebbe intervenuto con un decreto per risolvere questo problema. Tuttavia, nel 2024, un italiano su dieci ha rinunciato alle cure mediche a causa delle lunghe attese. Questo dato è la prova di un fallimento clamoroso e dell’incapacità del Governo di destra di garantire un accesso tempestivo alle cure sanitarie, mettendo a rischio la salute dei cittadini e aggravando le disuguaglianze sociali.

Inganni e rimpatri
La Premier Meloni ha avuto l’audacia di dichiarare che il governo aveva rimpatriato il 25% dei migranti trattenuti nei CPR albanesi. Questa affermazione, apparentemente significativa, si è rivelata essere un dato fuorviante e ingannevole: in realtà, si trattava solo di 9 persone. Questo dato è stato utilizzato per nascondere, per l’ennesima volta, il fatto che i CPR in Albania sono stati un fiasco colossale. Questa discrepanza tra le dichiarazioni e la realtà solleva seri dubbi sull’efficacia delle politiche migratorie del governo e sull’uso dei dati per sostenere le proprie affermazioni, dimostrando una volta di più la mancanza di trasparenza e onestà.

Il peso insostenibile della Pressione fiscale
Infine, il Governo ha affermato che il Fisco deve aiutare, non opprimere. Tuttavia, nel 2024, la pressione fiscale in Italia è aumentata al 42,6% del PIL. Questo aumento ha avuto un impatto insostenibile su cittadini e imprese, mettendo a dura prova la loro capacità di sopravvivenza e dimostrando l’incapacità del Governo di alleggerire il carico fiscale. È un peso insostenibile che graverà sulle spalle dei lavoratori e delle loro famiglie.

L’aumento inaccettabile della povertà e delle disuguaglianze
I dati dell’ISTAT parlano un linguaggio semplice e terribile: ci sono oggi 850.000 famiglie in più precipitate nella povertà. Non è un semplice numero. È una moltitudine di volti, di vite, di drammi quotidiani. È il segno tangibile che le politiche sociali messe in atto dal Governo non solo sono fallite, ma hanno aggravato le disuguaglianze e moltiplicato la sofferenza. Questo aumento inaccettabile della povertà rappresenta un atto d’accusa contro un modello economico che ignora i bisogni essenziali delle persone, che esclude invece di includere, che divide invece di unire. È il segno di un potere politico che ha smarrito il senso della sua missione: costruire una società più giusta, più umana, più solidale.
La lotta alla povertà non può essere affidata né alle promesse né alla beneficenza, ma debba diventare il fondamento stesso dell’azione pubblica. Occorre restituire alla politica il suo significato più alto: servire il popolo, e in primo luogo chi ha di meno, chi è lasciato indietro, chi non ha voce. È incompiuta quella democrazia che tollera livelli crescenti di miseria e disuguaglianza

Conclusioni
Compagn*, l’analisi delle promesse non mantenute e delle azioni controverse del Governo Meloni rivela un quadro desolante e preoccupante. Le aspettative create durante la campagna elettorale sono state tradite e le politiche intraprese hanno spesso avuto un impatto disastroso sulla popolazione. Questo Governo ha dimostrato di essere incapace di rispondere alle esigenze dei cittadini e di garantire un futuro migliore per l’Italia. È necessario un cambiamento radicale e immediato per salvare il Paese dalla crisi e dall’insensibilità di chi ci governa. Vorrei sottolineare che avrei potuto citare anche il DL Sicurezza, un argomento delicato e ampio che merita un approfondimento a parte. Preferisco, quindi, creare in futuro un articolo dedicato per analizzare in dettaglio questa questione cruciale. Compagn*, è tempo di unirci e lottare per un’Italia più giusta e solidale, un’Italia che rispetti i diritti dei lavoratori e garantisca un futuro di speranza e dignità per tutti.

Greta Thunberg, le dinamiche internazionali e la provocazione necessaria.

Non è implausibile, in effetti, che dietro la figura di Greta Thunberg si muovano interessi e strutture di un certo peso, magari anche con la complicità o il sostegno di ambienti istituzionali e non escludendo la partecipazione, più o meno diretta, di rappresentanti del governo svedese. Questo non ne sminuisce necessariamente l’intento iniziale, ma ci impone di analizzare le convergenze di intenti che spesso si creano tra movimenti di base e centri di potere consolidati, ciascuno con le proprie finalità. È una dialettica complessa, che merita un’attenta osservazione.Per quanto concerne la missione della Freedom Flotilla, essa si configura senza dubbio come un atto di pura e deliberata provocazione. Non si poteva ignorare, infatti, la reazione che avrebbe suscitato. Tuttavia, definire tale azione una mera provocazione, senza coglierne il più profondo significato, sarebbe riduttivo. È, in realtà, un gesto politico forte, atto a scuotere le coscienze e a sollevare con forza l’opinione pubblica internazionale. L’obiettivo primario è quello di riportare all’attenzione dei media mondiali la drammatica e persistente condizione del popolo palestinese. Una condizione che, è bene ammetterlo con dolore, è stata progressivamente normalizzata, rischia di essere accettata come parte integrante del nostro quotidiano, un “usu receptum”. Questa assuefazione, questa normalizzazione di una situazione di oppressione e di ingiustizia, è il vero pericolo contro cui tali azioni intendono battersi. È necessario rompere il muro dell’indifferenza e ricordare a tutti che la questione palestinese è una ferita aperta che continua a sanguinare e che non può essere ignorata o derubricata a semplice consuetudine. L’azione della Freedom Flotilla, dunque, al di là delle sue implicazioni immediate, si pone come un appello etico e politico a non dimenticare e a prendere posizione, a lottare contro l’indifferenza globale, o finta tale, mossa quasi esclusivamente da interessi capitalistici.

Cinque quesiti, nessuna risposta.

Oggi abbiamo assistito non soltanto a una sconfitta referendaria, ma a un cedimento profondo del senso civico e della partecipazione democratica. Il mancato raggiungimento del quorum non è solo un dato numerico, è il sintomo di una nazione stanca, disillusa e scoraggiata.
Eppure i temi proposti non erano astratti, ma radicati nella vita concreta delle persone. Vedere che una parte larga del Paese ha scelto di voltarsi dall’altra parte, magari per mero calcolo politico o per sfiducia, deve interrogarci tutti. Chi ha scelto l’astensionismo come strumento politico ha tradito lo spirito della Costituzione, ha colpito, in modo brutale, il cuore del patto repubblicano nato dalla Resistenza.

Ma proprio nei momenti più bui bisogna ricordare che la democrazia non è mai un dato acquisito, è una conquista quotidiana. E se oggi non ha parlato la maggioranza, non significa che la giustizia e il progresso sociale siano battuti per sempre. Al contrario, ci impongono più coraggio, più coerenza, più presenza fra la gente, raggiungendo quella parte del popolo che ancora esita, che nutre sfiducia o che, semplicemente, non ha ancora compreso l’importanza cruciale della partecipazione collettiva. È nostro dovere, con determinazione e passione, continuare a lavorare per costruire un futuro migliore per tutti.
Noi non ci pieghiamo, perché la storia non si scrive solo con le urne piene, ma con la tenacia di chi continua, anche in minoranza, a lottare per ciò che è giusto.