Lavagna e Manganello: la “Scuola dell’Obbedienza” del Ministro Valditara

Le nuove indicazioni ministeriali non sono una riforma, ma una restaurazione autoritaria. Si premia il censo, si punisce il dissenso e si smantella la scuola pubblica come ascensore sociale.

Non chiamatela “riforma”. Quella che il Ministro Valditara sta imponendo alla scuola italiana, pezzo dopo pezzo, è una controriforma reazionaria. È un ritorno al passato, a un modello di istituzione che non vedevamo dai tempi più bui della nostra Repubblica, un modello che credevamo sepolto sotto le macerie del fascismo e consacrato dall’articolo 34 della Costituzione.
Le ultime indicazioni ministeriali, camuffate dalla solita retorica tossica del “merito” e della “disciplina”, non sono altro che la formalizzazione di un progetto ideologico preciso: trasformare la scuola da luogo di emancipazione a fabbrica di obbedienza. Come giustamente evidenziato in un’acuta analisi apparsa su Umanità Nova, ci troviamo di fronte alla “Scuola dell’Obbedienza”. Un luogo dove il pensiero critico non è solo sgradito, è attivamente sabotato.

Analizziamo la truffa semantica su cui si regge l’intero castello valditariano.

Il feticcio del “Merito”: la Scuola-Azienda che premia i ricchi

Il Ministero è stato ribattezzato “dell’Istruzione e del Merito”. Ma di quale merito parliamo? In un Paese con disuguaglianze sociali endemiche, dove il codice postale di nascita determina ancora il futuro formativo e lavorativo di un individuo, parlare di merito è un insulto. Il “merito” di Valditara è il merito di chi parte avvantaggiato. È la celebrazione della competizione individuale, il darwinismo sociale applicato alle aule. È il linguaggio dell’azienda, non della comunità. Le nuove indicazioni spingono per una valutazione punitiva, per la classifica, per l’umiliazione  come strumento pedagogico. Questa non è una scuola che rimuove gli ostacoli come vuole la Costituzione. È una scuola che quegli ostacoli li cementifica, dicendo al figlio dell’operaio che se non ce la fa è solo colpa sua, che non ha avuto abbastanza merito, ignorando che il merito del figlio dell’élite era già scritto nel suo patrimonio familiare. È, a tutti gli effetti, una scuola classista.

La Disciplina come Sudditanza

Il secondo pilastro di questa restaurazione è la disciplina. Ma, ancora una volta, la parola è un inganno. Non si parla della disciplina dello studio, dell’impegno collettivo, del rispetto reciproco che nasce in una comunità democratica. No! Quella di Valditara è la disciplina del silenzio. È il ritorno alla cattedra come trono e all’alunno come suddito. È la repressione del dissenso studentesco, etichettato come devianza e la delegittimazione dell’insegnante che osa praticare la critica. Le nuove indicazioni vogliono studenti che obbediscano, non che pensino. Vogliono cittadini che non mettano in discussione l’autorità e che accettino passivamente le gerarchie imposte. La scuola sognata da questo governo non deve formare cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri, ma futuri lavoratori precari, flessibili e, soprattutto, docili.
L’insegnante non è più un facilitatore di coscienza critica, ma un burocrate o, peggio, un gendarme.

Un Progetto Contro la Scuola Pubblica

La “Scuola dell’Obbedienza” di Valditara è l’esatto opposto della scuola di Don Milani, di Barbiana, che voleva dare la parola agli ultimi. È l’opposto della scuola di Mario Lodi o di Gianni Rodari, che vedeva nella fantasia e nella cooperazione il motore dell’apprendimento. Questo progetto è funzionale a un disegno più ampio: il definanziamento e la distruzione della scuola pubblica statale. Mentre si tagliano risorse, si aumentano le classi-pollaio e si mortifica il personale docente, si spinge l’acceleratore sulla valutazione-classifica per favorire, ancora una volta, chi può permettersi il lusso della preparazione privata. Le nuove indicazioni ministeriali sono un attacco diretto al cuore della democrazia. Sono il tentativo di un governo reazionario di plasmare una società a sua immagine e somiglianza: gerarchica, classista e autoritaria.

La risposta non può essere la rassegnazione. Insegnanti, studenti e tutto il personale della scuola hanno il dovere di resistere a questa deriva. Ne va della scuola, ne va della Repubblica nata dalla Resistenza. Bisogna rigettare questo modello e difendere una scuola che sia veramente pubblica, laica, inclusiva e fondata sulla cooperazione, non sull’obbedienza.

Il sangue degli operai.

Negli ultimi giorni, due episodi hanno scosso, per l’ennesima volta, le cronache: tre operai morti a Napoli precipitando da un montacarichi durante dei lavori di ristrutturazione e due operai feriti gravemente a Pompei, caduti da una gru mentre eseguivano la manutenzione ad un impianto telefonico.

Potremmo limitarci a elencare i dettagli: età avanzata dei lavoratori, assenza di protezioni, lavoro nero. Potremmo parlare dell’inchiesta aperta, dei quattro indagati per la strage di via San Giacomo dei Capri, dei dispositivi di sicurezza assenti o inutilizzati. Ma non è questo il punto.
Perché ciò che sta accadendo è ormai sistemico. Non sono episodi. Non sono incidenti. Sono conseguenze inevitabili di un sistema economico che antepone il profitto alla vita, l’interesse del padrone alla sicurezza del lavoratore.

Il capitalismo uccide.
Non è retorica, è realtà. Un sistema che consente a un imprenditore di risparmiare sulla sicurezza, assumere in nero, far lavorare persone in età da pensione su impalcature traballanti, è un sistema marcio.
Il capitalismo, che si fonda sull’estrazione del massimo profitto da ogni goccia di fatica umana, non può garantire la sicurezza, la dignità, né tantomeno la vita. Il “padrone” guadagna tanto meno quanto più il lavoratore è tutelato, quindi, taglia, elude e sfrutta.

In Italia, ogni giorno muoiono in media 3 lavoratori (1090 morti nel 2024, fonte INAIL). Ogni anno, oltre mille famiglie distrutte dalla brutalità silenziosa del lavoro salariato.
Ma se muore un operaio è una fatalità. Se un’azienda perde un trimestre è una crisi nazionale. Questa è la gerarchia morale del capitalismo.

Le responsabilità dei padroni.
Chi assume in nero, chi risparmia sulle attrezzature, chi obbliga gli operai a lavorare a decine di metri d’altezza senza caschi né cinture, è un criminale, senza se e senza ma. E il sistema lo protegge. Con appalti, subappalti, finte cooperative e ispettorati sotto organico, la legge diventa farsa. E così il capitale vince sempre. Anche quando uccide.

A Napoli, due delle tre vittime lavoravano in nero. A 62 e 67 anni. Erano invisibili, ma utili. Finché sono caduti. Allora lo Stato si accorge di loro, ma è troppo tardi. A Pompei, i due operai caduti da una gru non erano nemmeno dipendenti diretti di chi gestiva i lavori. Le responsabilità si spezzano, si diluiscono, si scaricano. Come sempre.

La falsa coscienza borghese.
I giornali parlano di “morti bianche”. Ma il sangue è rosso, rosso acceso. E la causa è chiara: la logica del profitto senza morale, su tutto e su tutti.
Un’impresa non investe nella sicurezza se non è costretta. Non tutela i lavoratori se non è punita. E quando la punizione arriva (arriva?) è una multa, una sanzione simbolica, un’eccezione, mai un risarcimento vero.

E lo Stato? Lo Stato borghese chiude un occhio, spesso entrambi. Perché tutelare il lavoro significa scontrarsi col capitale e nessun governo di centro, di destra o di sinistra (sinistra?) osa farlo davvero.

Qual è l’alternativa?
Il comunismo. Il socialismo reale. Il collettivismo. Una società che metta al centro l’essere umano e non il profitto. Una società dove la produzione è finalizzata al bene collettivo, mai all’arricchimento individuale. Dove i mezzi di produzione sono in mano alla comunità, non a padroni privati che vedono nei lavoratori solo un costo da comprimere per massimizzare il profitto.

In una società giusta:

  • Il lavoro è un diritto, non una condanna. E la sicurezza è una responsabilità collettiva, non un onere facoltativo.
  • Non esiste il lavoro nero, perché non esiste il profitto privato: non c’è bisogno di nascondere chi lavora se il lavoro è garantito e controllato.
  • Le decisioni vengono prese dal “basso”, dai consigli dei lavoratori, non da manager invisibili o da imprenditori assenti.
  • La ricchezza prodotta viene reinvestita nella comunità, in sicurezza, salute, istruzione, tempo libero.
  • Ogni vita è preziosa, perché la società è fondata sull’eguaglianza, non sulla competizione.

La sicurezza sul lavoro non si ottiene con più leggi nel quadro del capitalismo. Si ottiene abbattendo il capitalismo stesso. Finché il padrone potrà guadagnare tagliando una cintura di sicurezza, lo farà. Finché il lavoratore sarà ricattabile, lo sarà. Finché la vita sarà una variabile dei costi aziendali, continueremo a contare morti.

Conclusione
Dobbiamo smettere di piangere. Dobbiamo cominciare a lottare. Ogni morto sul lavoro è una chiamata alla rivoluzione. Ogni vittima è un compagno che il sistema ha assassinato. E ogni volta che abbassiamo la testa, ne prepariamo altri.
Un altro mondo è possibile. Ma non nascerà dai decreti dei governi. Nascerà dalla lotta. Dalla coscienza. Dalla solidarietà. Dal sindacalismo.
Perché finché ci sarà capitalismo, ci sarà morte. Ma finché ci sarà lotta, ci sarà speranza.

Non possiedi nulla: la grande truffa della proprietà digitale.

Quando acquisti un libro cartaceo, quel libro è tuo. Lo puoi riporre nella tua libreria, lo puoi prestare, leggere e rileggere fino a consumarne la copertina, puoi addirittura donarlo o scambiarlo. Se qualcuno cercasse di portartelo via, potresti anche reagire, avendo ragione, è tuo! Oggi, invece, viviamo in un’epoca in cui ciò che paghi non ti appartiene più. Benvenuti nell’era del diritto digitale proprietario, dove la parola “acquisto” è una bugia legalizzata e l’illusione della proprietà è venduta a caro prezzo.

In un mondo dominato da piattaforme e licenze d’uso, non possiedi nulla. Le canzoni, i videogiochi, i film e persino i libri che credi di avere, in realtà non sono tuoi. Sono concessi in licenza e chi te li vende può toglierteli quando vuole. Lo hanno già fatto. Lo stanno facendo adesso. E continueranno a farlo, finché glielo permetteremo.
Ecco alcuni esempi recenti:

  • 2019 – Microsoft chiude il suo negozio di eBook. Risultato? Tutti i libri digitali acquistati dagli utenti cancellati. Nemmeno accessibili offline, a causa del DRM e dell’autenticazione online.
  • 2022 – PlayStation elimina dalla libreria utenti i film già acquistati. Titoli come John Wick e Paddington semplicemente spariscono.
  • 2024 – Ubisoft rende ingiocabile il gioco The Crew, anche per chi l’ha comprato in copia fisica. Il gioco era tuo? No, era loro. E te l’hanno tolto!
  • 2025 – Amazon rimuove l’opzione “Scarica e trasferisci via USB” dal Kindle. Addio alla possibilità di salvare o togliere il DRM ai tuoi eBook. Anche quelli pagati.

E, come se non bastasse, ora stanno modificando i contenuti direttamente nei tuoi dispositivi. I testi di autori come Roald Dahl, Agatha Christie, R. L. Stine vengono riscritti senza il tuo consenso, senza avvisarti. La tua libreria personale non è più tua. L’industria digitale ha realizzato una tra le più perfette forme di controllo e sorveglianza culturale della storia moderna. Non possiedi ciò che leggi, non possiedi ciò che ascolti e nemmeno ciò che giochi. Hanno venduto l’idea di proprietà, ma in realtà ti hanno affittato l’accesso. E lo possono revocare quando vogliono. Non è solo una questione tecnica o di profitto, è politica. È una lotta per la libertà, per la dignità dell’utente, per il diritto di possedere ciò che si paga. Aspettare senza fare niente, non produrrà alcun risultato. Dobbiamo alzarci in piedi e riprendere il controllo.

Dobbiamo decidere di essere noi il cambiamento, ma come? Domanda lecita, di chi esige giustizia e rispetto.
Cosa puoi fare:

  • Ospitare autonomamente i propri dati. Creando un homelab, usando server personali, così da proteggere i propri file da cancellazioni arbitrarie.
  • Scegliere software libero e open source. Le comunità libere creano strumenti che rispettano la nostra libertà.
  • Evitare piattaforme che impongono DRM. Acquistando da fonti che permettono il vero download e l’uso offline.
  • Archiviare localmente una copia su disco, vale più di mille promesse cloud.

George Orwell, in 1984, aveva previsto tutto:
“Nulla vi apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi che avevate dentro il cranio.”